Migranti di Giacomo Piccoli

In un palco senza scenografia, nel buio di una simbolica notte si intravedono corpi estenuati dalla stanchezza probabilmente su un immaginario gommone alla deriva. L’intreccio di anime speranzose di giungere in un luogo di presunta salvezza. Quasi un rito propiziatorio quello che coinvolge i disperati clandestini, un rito arcaico terribile, non privo di morti, di dolorosi sacrifici in visioni di apocalittica sventura verso una terra promessa, che imporrà inevitabilmente nuovi sfruttamenti, nuovi tribalismi, nuove vessazioni.

Una messa in scena molto ben concepita, che si estrapola da un discorso più esteso che si presenta come un analisi politicosociale per giungere a temi di antropologia culturale, a volte rischiando di coprire l’aspetto più rilevante di MIGRANTI cioè una stesura principalmente coreografica, artistica, molto ben riuscita sul piano estetico e che valorizza contemporaneamente l’espressività drammaturgica e gli aspetti armonici della danza.

La sapienza della buona coreografia, curata da PATRIZIA CAVOLA si impone, generando forme che sono veri e propri quadri d’autore, ricchi di inventiva e di sapienza stilistica, quasi a volerci dire che la strada della salvezza passa attraverso il lirismo poetico, la comune intesa come una lingua non parlata, fatta di corrente empatica, di un comune sentire.

La musica sapientemente generata (EPSILON INDI) valorizza il palco in vibrazioni suggestive. Le danzatrici animano la scena vibrando come corpi celesti, risvegliando il torpore dell’indifferenza e il tutto diviene luogo incantato.

Giacomo Piccoli

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